" Non mi voltavo neanche più indietro."
Le parole hanno il potere di scolpire la realtà, di dare voce a chi spesso rimane in silenzio. Dimmi che esisto, il romanzo di Selene Pascasi, in seconda edizione con Chiocciola Edizioni, è una storia che scava nelle profondità dell’anima, affrontando temi delicati come l’identità, il dolore e il bisogno di rinascere, sempre, come persona.
In questa intervista esclusiva, Selene Pascasi ci racconta il cuore pulsante del suo libro, il processo di scrittura e il messaggio che vuole lasciare ai lettori.
Sul libro e i suoi temi
Dimmi che esisto è un titolo potente e suggestivo. Cosa significa per te e come si collega alla storia?
Intanto grazie per aver apprezzato il titolo. Dimmi che esisto non è, come si possa pensare, una domanda che la protagonista rivolge ad altri per cercarne il consenso o la conferma alla sua esistenza. No. È la domanda che la voce narrante (Giulia) ha sempre rivolto a se stessa. È la domanda che l’ha sempre assillata per via di una sminuita autostima – cagionata da chi non ha saputo/voluto apprezzarla come meritava – che l’ha indotta ad anteporre un meno alle proprie qualità.
Due, fondamentalmente, sono le ragioni che mi hanno spinto a dar voce alla storia. Una mia esperienza personale, dolorosa, di cui per anni non ho parlato per riservatezza ed esperienze vissute tramite i racconti delle donne vittime di violenze o di manipolazioni che ho difeso come avvocato. A spingermi è stata la necessità di “urlare” che la vittima non ha mai colpa degli abusi subiti. E mai deve mettersi in discussione. Anzi, deve rinascere e riprendersi la vita che le spetta. Il romanzo vuole trasmettere questo messaggio.Il tempo e il destino sembrano avere un ruolo centrale nel romanzo. Come hai lavorato su questi concetti nella narrazione?
Guardandomi dentro in maniera istintiva, quasi primitiva. Nel mese in cui ho iniziato e finito la stesura (velocissima) del romanzo non mi sono mai soffermata ad architettare il cosa o il come dar forma a dei concetti. Nel far defluire emozioni su carta mi sono lasciata guidare dal mio galleggiare tra la voglia di abbracciare il mondo e la tentazione di scrutare oltre il ponte. Per questo, sia il tempo che il destino sono stati temi portanti in quanto assi tra cui mi muovo usualmente oscillando tra l’onirico e la realtà.L’amore è vissuto, negato, atteso. Come hai costruito la dimensione emotiva della protagonista?
La protagonista mi somiglia. Come me, Giulia crede nell’amore vero, quello raro, quello che ti piomba addosso e resta impigliato all’anima, quello che si insinua nella pelle e rinasce brivido, quello che non puoi nascondere. Ma spesso un amore così è attesa e lo resta, specie per chi ama senza paracadute. Del resto, amare con cautela non è amare. Diverso è amare salvandosi. Quello è possibile, anzi vitale. La dimensione emotiva di Giulia dimostra questo: l’amore vissuto, negato, atteso è sacro purché non sia un (non)amore tossico (=reato).Nel romanzo si avverte un forte contrasto tra ciò che si mostra al mondo e ciò che si è dentro. È un tema autobiografico o nasce da una riflessione più universale?
Ambedue. Avendo esercitato la professione forense per venti anni e essendo ora un pubblico funzionario, dovevo e devo mostrare solo la parte di me più formale. Tuttavia, scrivo testi di canzoni, poesie, storie, ho uno spazio introspettivo che vola libero. Eppure sono sempre io. Questo per dire che il contrasto tra il “noi” e l’“altro” è spesso apparente, dicotomia che non ci smentisce. Ovvio che, allargando la prospettiva al sociale, purtroppo esiste un rilevante divario tra l’essere e l’apparire. E se dentro di noi quel solco è sinonimo di coerenza, lì fuori (dove conta l’esibizione del lusso o della carriera) è un male da arginare.
Il tuo stile è intenso, poetico, ricco di immagini evocative. Da dove nasce questa cifra stilistica?
Potrei dirti che deriva dal fatto che sono una forte lettrice, ma ti mentirei perché nei libri letti mi sono ritrovata nella sostanza delle idee, non nella scrittura in sé. Più che altro, credo che la scrittura rispecchi il vissuto e nel mio si sono alternati eventi di struggente bellezza ed eventi dolorosi. Di qui, una scrittura che alterna poesia, evocazione ma anche dolore.
La scrittura per te è più una forma di introspezione o di comunicazione con il lettore?
È comunicazione con il lettore che nasce dall’introspezione. Come si può trasmettere ad altri ciò che non sentiamo? Come si può tentare di “insegnare” ciò che non abbiamo “imparato”? Il mio romanzo, perciò, è figlio di un’introspezione che scavalca l’io e arriva al lettore.
Hai seguito una struttura narrativa precisa o hai lasciato che la storia si sviluppasse in modo più libero e istintivo?
Assolutamente in maniera istintiva. Ho avuto chiara solo l’idea di fondo: raccontare di come una donna possa arrivare a sentirsi il nulla totale, nonostante sia stimata nella vita e nella professione, a causa di traumi del passato non elaborati. Per il resto, la scrittura ha seguito il battito del cuore
.La protagonista si muove tra passato e presente, tra riflessione e azione. Come hai gestito questi piani temporali nella scrittura?
Ancora una volta, navigando a vista pagina dopo pagina.
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