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I romanzi e il fenomeno Poppi: quando il mercato “addomestica” la voce
C’è una storia, nel mondo delle bevande, che ci aiuta a riflettere anche intorno ai libri.
Una miscela artigianale nata in cucina, forte di sapori non immediati, approda in TV ("shark tank"), incontra investitori e - tra nuovi gusti, un nome più ammiccante e un design brillante - diventa prodotto di massa. In molti ci hanno visto un passaggio da tonico “salutare” a soda “pop”: meno spigoli, più piacere immediato, una narrazione di benessere pronta per lo scaffale. Il prodotto non piacque, tranne a un imprenditore, che appoggiò l'investimento. Tale bevanda è resa celebre con il nome di Poppi, acquisita recentemente da Pepsi per più di un miliardo di dollari.
Questa parabola, resa celebre dal caso Poppi, somiglia a ciò che può accadere quando una voce letteraria giovane e originale entra nei meccanismi dell’industria culturale.
La letteratura nasce spesso da un’urgenza: una lingua che non c’era, un modo personale di guardare il mondo. In quello stadio “madre”, ancora non filtrato, la prosa può essere ruvida, dissonante, a tratti scomoda. È proprio lì, però, che abita la sua verità: una sintassi che azzarda, un ritmo che spezza, un personaggio che non chiede di piacere ma di esistere. È la parte acida del testo, l’equivalente dell’aceto di mele: non per tutti, non subito, ma capace di aprire un canale diretto con chi la incontra.
Poi arriva l’occasione: uno sguardo editoriale riconosce il potenziale e propone un “rebranding”. Nulla di male, in sé. L’editing è un’arte preziosa: pota i rami secchi, chiarisce le traiettorie, mette i riflettori sui nuclei vivi del racconto. Il problema nasce quando la cura si trasforma in addomesticamento: la lingua perde i suoi scarti, la struttura viene “normalizzata”, le ambiguità si riducono per intercettare il consenso più ampio. Il romanzo diventa una “soda narrativa”: frizzante, piacevole, condivisibile, ma con una somiglianza fin troppo stretta a ciò che già riempie gli scaffali.
La dinamica è nota:
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Dalla singolarità alla familiarità. Ciò che era imprevisto diventa riconoscibile. Le scelte stilistiche rischiose si attenuano in favore di un registro medio, più scorrevole ma meno personale.
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Dalla densità alla parola chiave. Temi complessi si condensano in claim narrativi: “la storia che parla di…”, perfetti per presentazioni e bandelle, meno per sostenere la stratificazione dell’opera.
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Dalla voce al formato. Il libro insegue trend di genere e moduli di narrazione che assicurano velocità di fruizione e buona “condivisione sociale”, ma sfilacciano l’impronta autoriale.
Eppure, fra editing e rebranding c’è una differenza decisiva. L’editing, quando è ben condotto, potenzia la voce: la mette a fuoco senza cambiarne il timbro. Il rebranding, quando diventa eccessivo, sostituisce la voce con un tono compatibile con il mercato. È questo passaggio—dalla cura al cambio d’identità—che merita attenzione critica.
Non si tratta di contrapporre purezza e corruzione, artigianato e industria, nicchia e mainstream. La letteratura vive anche di incontro col pubblico, e l’editoria ha il compito di costruire ponti. Ma i ponti migliori non limano le scogliere: le disegnano e le rendono attraversabili.
In altre parole: una prosa aspra può diventare leggibile senza diventare zuccherosa; una struttura complessa può trovare respiro senza essere ridotta a una sequenza di effetti; un’idea radicale può essere accompagnata dentro paratesti intelligenti, titoli evocativi e copertine pensate, senza perdere la propria radicalità.
Qualche domanda, allora, può guidare il lavoro su un manoscritto, evitando l’effetto “cola” della narrativa:
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Cosa c’è qui che non c’è altrove? Prima di toccare la lingua, nominare la sua differenza. È un ritmo? Un punto di vista? Una geografia interiore?
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Cosa sostiene davvero la lettura? Tagliare il superfluo non significa addolcire: significa liberare la tensione.
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Qual è il margine non negoziabile dell’autore? Ogni proposta di intervento dovrebbe esplicitare cosa non si intende cambiare, per proteggere l’asse della voce.
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Il paratesto accompagna o devia? Titolo, copertina, quarta: strumenti potenti. Possono preparare all’asprezza, non mascherarla.
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Stiamo creando riconoscibilità o intercambiabilità? Se, a operazione conclusa, il romanzo potrebbe essere “di chiunque”, qualcosa si è perso.
Nel caso Poppi, l’attrazione del mercato ha trasformato una bevanda con un carattere spiccato in un prodotto più vicino alle abitudini diffuse, con la promessa—seducente—di essere “buono come una soda, ma fa bene”. Nei libri accade quando la promessa diventa: “si legge come X, emoziona come Y”. Funziona, spesso. Ma a che prezzo?
Forse la sfida dell’editoria di oggi non è scegliere tra acido e dolce, tra spigolo e levigatezza, tra voce e formato. È orchestrare. Fare in modo che un romanzo conservi l’acidità che lo ha generato, ma trovi una soglia d’ingresso onesta. Che sia condivisibile, sì, ma non scambiabile. Che non diventi l’ennesima lattina narrativa, brillante e indistinguibile.
In fondo, ciò che resta di un libro dopo l’onda promozionale è sempre la stessa cosa: la voce. Se la proteggiamo, anche le operazioni di mercato possono diventare alleate. Se la smarriamo, resterà la frizzantezza: piacevole, effimera, subito dimenticata.
Se credi nella tua voce - lo speriamo - scrivi a direttorechiocciola@gmail.com!
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