"Ho visto in volo due anime feconde."
Ci sono autrici che non cercano la poesia: la poesia le precede. Lucia D’Aversa appartiene a questa rara famiglia spirituale di scrittrici che trasformano ogni immagine in un presagio, ogni gesto in un varco e ogni parola in un frammento di rivelazione. Nel giardino delle luci non è semplicemente una silloge: è un campo magnetico. È un luogo dove la percezione si fa materia e la materia si smaterializza, dove la luce non illumina soltanto, ma rivela ciò che la mente non osa formulare.
La sua poesia unisce due nature spesso inconciliabili: una forza immaginifica che sfonda i confini del reale e un intuito quasi da veggente romantico, capace di anticipare emozioni e significati come se l’autrice vivesse mezzo passo più avanti del mondo. Il risultato è una scrittura che non osserva: prevede. Non descrive: evoca. Non spiega: porta il lettore direttamente dentro il cuore dell’esperienza.
Sfogliando le sue pagine si sente un movimento quasi medianico. Le immagini non sono figure statiche: diventano spiragli, lampi, metamorfosi. Una rosa che compie un “salto quantico”, una bussola che nasce dal vento, la natura che diventa madre, amante, destino. Gli avi parlano, la materia dialoga, la luce guida. La poesia abita zone liminali, sfiora lo spirituale, attraversa l’onirico con la naturalezza di un respiro. È un immaginario senza timore del simbolo, dove ogni verso funziona come un varco che chiede di essere attraversato più che interpretato.
Accanto a questa dimensione visionaria, però, Lucia D’Aversa possiede una scrittura sensuale e partecipata, che non teme il corpo, il desiderio, la carne viva dei sentimenti. Nei suoi versi c’è il calore delle mani, l'attrito delle passioni, la vulnerabilità degli amori feriti o sfioriti. Il lettore si trova coinvolto non solo a livello mentale ma emotivo: attraversa immagini che vibrano, si accendono, si muovono. L'autrice non teme l’intensità, non teme l’eccesso immaginativo: li governa con una naturalezza sorprendente.
Questa duplice tensione – visionaria e carnale, mistica e terrena – rende Nel giardino delle luci un’opera dalla potenza non comune. Si avverte che il percorso poetico di Lucia D’Aversa è in pieno sviluppo, come una sorgente che ha appena iniziato a sgorgare e non accenna a ridursi. L’ispirazione in lei è un motore vivo, in crescita continua, e la silloge ne è solo la prima, ampia manifestazione.
In questo “giardino”, la poesia diventa il luogo dove il mondo reale e quello invisibile si toccano. Ed è proprio lì, in quella soglia, che Lucia D’Aversa dimostra un talento raro: far percepire al lettore che l’invisibile non è meno reale, e che la parola poetica può ancora essere un atto di rivelazione.
La sua voce si colloca in una tradizione che guarda alla visione, all’archetipo, alla simbologia luminosa, ma lo fa con una freschezza e un’intensità che la rendono immediatamente riconoscibile. È una poesia che non si limita a essere letta: si attraversa. Si entra, si respira, si lascia risuonare.
Nel panorama contemporaneo, dove la poesia spesso si appiattisce sull’istantaneità o si frammenta nel minimalismo, Lucia D’Aversa restituisce all’immaginazione la sua dignità di spazio sacro. Ed è questo – forse più di ogni altro tratto – il segno concreto del suo talento.
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Buona lettura!


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