Un'intervista a SIMONE FERRANTE, poeta emergente e autore della silloge IRIDE, gli occhi della poesia


"Sbattere le palpebre e trovarsi altrove.."

 Iride, gli occhi della poesia è una raccolta che attraversa territori emotivi molto diversi: amore, perdita, desiderio, memoria, quotidianità, natura, ironia e resistenza interiore. È una poesia che non si limita a raccontare sentimenti, ma li mette in scena con un linguaggio che oscilla tra l’immediatezza del dialetto e la limpidezza di un registro più universale. Ne nasce una voce che osserva, si confessa, si difende, si espone. Una voce che cerca nella realtà — e nei suoi interstizi — qualcosa che somiglia a un senso.

Le domande che seguono nascono direttamente da questo viaggio poetico e provano a intercettarne il nucleo: ciò che unisce i testi, ciò che li fa vibrare, ciò che resta dopo averli letti. Sono domande che mirano al cuore dell’opera e al modo in cui l’autore trasforma la vita in parola.









  • Molte poesie oscillano tra il dialetto romanesco e un registro più universale. Per te, cosa cambia nella verità emotiva del verso quando scegli una lingua o l’altra?

Il momento in cui scrivo è la parte più interessante secondo il mio parere, è l’istante in cui cerco di dar vita ad immagini, sensazioni o momenti vissuti/immaginati ed è proprio lì che scelgo se utilizzare il dialetto romanesco che m’appartiene per natura oppure virare su un'altra lingua. Credo che per arrivare più in fondo al cuore del lettore e farlo immergere nella scena poetica, bisogna scegliere se parlare in maniera diretta ( da qui l’utilizzo del dialetto) oppure utilizzare una via comune con una lingua che rispecchi nel migliore dei modi il tema trattato.



  • La raccolta attraversa desiderio, assenza, nostalgia, ironia, dolcezza e perdita. Se dovessi individuare il motore unico che tiene insieme questi stati d’animo, qual è il sentimento che realmente muove tutta la tua poesia?

L’anello comune a tutti questi secondo il mio modesto parere credo che sia il tema dell’Amore, madre e protettrice di tutti questi temi.

  • L’amore, in molte forme, compare costantemente: innocente, carnale, mancato, immaginato, ritrovato. Per te scrivere d’amore è un modo per raccontare l’altro o per comprendere te stesso?

Mi piace raccontare dell’amore a 360°, perché è cosi che riesco a far comprendere al meglio cosa voglia dire amare in tutte le sue sfumature, piuttosto che dimostrarlo a gesti, cosa che personalmente, mi rimane molto più complicato. Quando scrivo sono me stesso in un dialogo, un batti e ribatti, una conversazione che dir si voglia unicamente sotto forma di monologo interiore, cosi che un’eventuale risposta al mio pensiero non possa bloccarmi e non far comprendere ciò che vedo, vivo o immagino.


  • In più testi, la natura diventa un’interlocutrice: montagna, mare, vento, stelle. Che cosa ti spinge a trasformare la natura in un luogo di rivelazione interiore?

La natura è l’insieme delle cose terrene che accomuna il mondo vegetale animale e noi esseri umani. Penso che non sappiamo amarla come si debba fare realmente, rispettarla per quello che ci offre, ed è per questo che mi piace dar vita a storie o far riferimento ad elementi della stessa, come se fosse la natura a parlare e a farci capire quanto bisogno abbia del nostro supporto per mantenerla via sempre e condividere con lei emozioni e momenti indelebili.

  • La memoria – infanzia, scuola, prime timidezze, i nonni, perfino il carcere in “100 passi” – è trattata come un archivio vivo. Che ruolo ha oggi il ricordo nel tuo lavoro poetico?

Il ricordo è il motivo cardine grazie al quale riesco a scrivere sin da giovane età. Il passato, credo che ci formi per il futuro, ci proietti verso scelte migliori e ci incanali indirettamente verso le scelte più sagge e giuste. Il passato per me è come un avo che ci racconta cosa siamo stati, da dove veniamo e cosa potremmo fare grazie alle nostre esperienze passate ma anche degli altri.


  • Molte poesie raccontano attese, vicinanze impossibili, distanze minime ma decisive. Perché credi che la soglia, il “quasi”, sia un luogo così fertile per la tua scrittura?

Se andiamo ad analizzare il significato del termine “quasi” vediamo che indica qualcosa di impreciso, ma può anche esprimere incertezza, che qualcosa sta per accadere ma non esiste ancora. Ecco diciamo che è un termine che si addice al rimpianto di non essere riuscito a raggiungere degli obiettivi. Nel mio caso specifico per esempio sento che avrei potuto realizzarmi diversamente su più fronti, vedi quello lavorativo o sportivo per citarne alcuni. Nell’Amore però credo di essermi realizzato totalmente grazie alla persona che ho al mio fianco, per cui in questo caso rimpianti zero.

  • C’è un uso costante di immagini concrete (mani, occhi, fiato, vento, passi, oggetti quotidiani) per dare forma a sentimenti molto complessi. È una scelta istintiva o una ricerca consapevole di rendere visibile l’invisibile?

E’ una scelta che si realizza a seconda dei temi trattati e di quanto un elemento del genere possa riuscire a suscitare in me, più o meno emozioni e a far comprendere al meglio il mio pensiero. Quindi direi che è decisamente una ricerca consapevole e mirata.

  • Nelle poesie più esistenziali, la vita è descritta come un ponte, una salita, un viaggio con biglietto unico. Qual è l’idea di destino che emerge per te da questa raccolta?

Un passaggio continuo. Per riassumere tutti questi elementi penso sia il termine più adatto, poiché citandone alcuni, il ponte ad esempio è l’immagine viva di un cammino da una parte all’altra di qualcosa che può migliorare o avere sorprese all’arrivo; la salita allo stesso modo, può essere faticosa e non dare novità giunti in cima, ma per quanto dura possa essere stata magari è stata soddisfacente averla intrapresa. La vita è un continuo cambiamento, passaggi temporale, quindi scegliamo noi la via più adatta che soddisfi i nostri requisiti.

  • Pur trattando spesso temi dolorosi, mantieni un tono che non precipita mai nel nichilismo: c’è sempre una scintilla, un “fiato”, uno spiraglio. Da dove nasce questa inclinazione alla resistenza poetica?

Qui prendo spunto dalle esperienze di vita trascorse e dal mio carattere che sono felice sia cosi intraprendente nonostante si presentino spesso intoppi o ostacoli che mi vietino di fare qualcosa che magari sognavo. Deve esserci sempre per chiunque, un minimo di speranza, una fiaccola accesa dentro di noi che ci permetta di non arrendersi mai, di reagire e non mollare mai la presa, perché il più delle volte il destino ce lo creiamo noi stessi, con tenacia e costanza.

  • Se dovessi dire cosa resta, per te, del tuo io dopo aver scritto queste poesie - che cosa senti di aver compreso che prima non vedevi?

A volte quando leggo ciò che ho scritto, mi rendo conto che ho sempre qualcosa da condividere coi lettori, che la gente che mi circonda non ha mai saputo che avevo, ho e avrò in futuro dentro di me. Mi sorprendo a volte, ma mi rendo veramente conto che scrivendo riesco a dare il 100% di me stesso e a farmi conoscere più a fondo. Comunque sia le idee, le esperienze ed i progetti, per quel che mi riguarda non sono terminati, per cui, avrò ancora molto da mettere nero su bianco.



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