"Chiamando tutto col proprio nome ."
Il nostro giovanissimo scrittore Salvatore Amico, autore del libro Sogni, cartoni animati giapponesi e crescita personale lascia sul nostro blog ufficiale un articolo che invita alla riflessione sul variegato (fin troppo) e difficile mondo editoriale.
L’editoria a pagamento non esiste
Una cosa che va molto di moda oggi tra gli editori è inserire ancor prima del loro motto, della loro specializzazione, “CE non a pagamento”.
Leggendo su Instagram mi sono imbattuto in un articolo che spiega che le CE a pagamento sono solo delle stamperie. Questa secondo me è l’unica verità. Almeno, per quanto riguarda quelle cosiddette case editrici che richiedono l’acquisto di 500/2000 copie all’aspirante scrittore. Il motivo per cui vengono preferite al self publishing è che, appunto, si spacciano per case editrici. Ma una volta che ti richiedono di acquistare tutte le copie che stampano, dovresti farti due domande.
Penso ci sia, da parte dell'autore, anche un non voler entrare nel mondo del self publishing. Nel senso: pubblicando con queste realtà hai un lavoro, almeno, di grafica assicurata e, a volte, anche una vetrina online che di cui da self dovresti occuparti personalmente. Cose che, però, potrebbe fare anche una tipografia. Quindi, svegliamoci tutti e cominciamo a chiamarle tipografie. Questo permetterebbe di eliminare le scritte “CE non a pagamento” che stonano veramente molto nella presentazione di una casa editrice. E inoltre, forse la parte più importante, si farebbe chiarezza e darebbe un po' di dignità a quelle realtà che, oggi, spesso vengono messe nella stessa categoria delle tipografie.
Progetti
Parlo di quei progetti che organizzano crowfounding, che offrono contratti di co-produzione, che dànno royalties all’autore. Queste possono essere case editrici, riviste, collettivi di autori. Realtà che non hanno nulla da spartire con le tipografie. Per quanto i metodi possano sembrare simili. Ma il cambiare nomenclatura fa venire a galla le motivazioni della differenza. Motivazioni che stanno nello scopo ultimo, piuttosto che nel processo. Le tipografie hanno lo scopo di stampare e farsi pagare per questo. Una casa editrice di pubblicare un libro e aiutare l’autore in questo. Una rivista deve pubblicare articoli. Un collettivo deve far crescere il proprio staff. Chiamando tutto col proprio nome si evidenzia come ogni progetto è reso tale dal proprio scopo e non dal come ci si arriva. Poi, potremmo parlare del modo più eticamente giusto o più corretto.
Chi legge chi?
Dal mio punto di vista la maniera più corretta è il metodo dell'editoria tradizionale dove i tutti i costi, manodopera e marketing sono totalmente sulle spalle della CE. Ma anche in questo caso troviamo situazioni dove le royalties sono bassissime, dove la pubblicità è pari a zero e le proposte ricevute non vengono neanche lette.
Una soluzione valida è il crowfounding che permette a piccole realtà di non richiedere costi all'autore. Ma in questi casi ci dovrà essere un'ottima rete di comunicazione da parte della casa editrice e altissime royalties per lo scrittore, in modo tale che il creativo non debba ricevere l'umiliazione di chiedere ad amici e familiari di sostenere il suo sogno e che l'affrancamento da ogni rischio produttivo della CE venga contestualizzato. Inoltre, in ogni caso non dovrà mancare la professionalità nell'editing, nell'ufficio stampa e nella distribuzione. Che è una lacuna nell'intero panorama italiano.
Infine, parlando degli autori italiani. Sinceramente non li capisco. Nessuno li pubblica, non accettano crowfounding, co-produzione e neanche l'editoria a pagamento. Questo, penso, nella speranza di essere scoperti. Ma a questo punto, perché non scegli l'autopubblicazione? O anche affidarsi alle tipografie che ci piace chiamare editori a pagamento. Che se fanno un buon prezzo, considerandole delle tipografie, equivale a autopubblicarsi. Smettetela di mettere etichette alle cose e di fare comunità contro chi se li trova appiccicati.
Dizionari
Ragionate con la vostra mente e, proprio perché scrittori, pensate al significato dei termini, quello originario, quello che si radica poi nel senso comune, a quelle sfumature di senso a noi destinate. Prendete ogni caso come specifico e non giudicate solo per la categoria in cui è inserito su qualche blog. Perché sennò tutti ci rivolgeremmo a quel singolo editore free, a quel singolo editore a pagamento e a quella stamperia.
E poi…il termine "editore a pagamento" non ha veramente senso. Cioè, si intenderebbe un datore di lavoro che tu paghi. Però, io, ero rimasto che se paghi ti viene offerto un servizio e che se vieni pagato stai lavorando.
I dizionari li vendono ancora.
Salvatore Amico
Commenti
Posta un commento