Flavio Espinoza Ballivian: un'intervista con Chiocciola


"Far incenerire l’ira"

La poesia ha il potere di dar voce a ciò che spesso resta taciuto, di trasformare emozioni e frammenti di vita in versi capaci di risuonare nell’animo di chi legge. Oggi ho il piacere di ospitare sul mio blog Flavio Espinoza Ballivian, autore di una silloge "EL Pibe De Papel", che esplora i temi dell’esistenza con una sensibilità profonda e una scrittura autentica.

In questa intervista, Flavio ci racconta il suo percorso poetico, le ispirazioni dietro la sua raccolta e il suo modo di intendere la poesia come strumento di espressione e rivelazione. Un dialogo intimo e appassionato per scoprire il cuore pulsante della sua scrittura.

Buona lettura!



Buongiorno Flavio. La tua poesia è caratterizzata da un forte uso di metafore e da un linguaggio evocativo. Come nascono le immagini che utilizzi nei tuoi versi?


Sostanzialmente da un processo creativo. spesso la creatività può germogliare dall’osservare, cosa sicuramente importante, fondamentale però è vivere, stare, essere presenti, attraversare la virtù creativa. Sicuramente esiste nel parto delle mie immagini una componente di fantasia, dovuta anche alla presenza di una parte infantile, come bloccata nel tempo, che non è mai voluto crescere, una fantasia però non menzognera, quindi nel mio caso, non come qualcosa che non è mai accaduto, come fosse una invenzione bensì una fantasia più simile ad un incubo, o ad un sogno; dove spesso

trovo in uno scenario quasi irreale, elementi reali, concretamente legati ad una mia angoscia, ad un mio affanno, ad una mia fragilità. Catturando, assorbendo così, questi ingredienti per poi svilupparli, passando prima come idea per poi successivamente esprimerli attraverso la scrittura. Concludo affermando che tutto ciò che scrivo l’ho vissuto e l’ho visto vivere.

Il tuo stile mescola poesia e prosa, creando un ritmo sincopato. È una scelta istintiva o un processo consapevole?

La mia scrittura, che sia una novella o in questo caso una poesia, è ben studiata, per quanto ancora io debba migliorare. Spesso e volentieri, scrivo con il caos, non sopporto comporre nella calma e nel silenzio. Scrivo ascoltando determinata musica, così da spingermi a elaborare un lavoro molto musicale, ritmico, dove anche le pause segnano, durante la lettura dei miei testi, una parte fondamentale, utilizzando anche raramente una punteggiatura continua e corretta, diciamo così, dal punto di vista grammaticale. Questa tecnica, quindi quella di impoverire le opere di virgole, punti, crea come una sorta di affaticamento nel lettore, come si dice una lettura tutta d’un fiato. Donde però quando questo, incontra ad esempio un punto, riesce ad interrompere questa apnea e a riprendere respiro ed a elaborare le immagini create e successivamente a cercare di interpretarle, anche soggettivamente. Direi che forse inizialmente era più una scelta istintiva per poi trasformarsi in un processo consapevole.

Nelle tue poesie affronti temi come l’angoscia esistenziale, il conflitto interiore e la difficoltà di comunicare amore e bellezza. Qual è il filo conduttore che lega queste riflessioni?

Sicuramente passo in rassegna a diverse tematiche. Appunto l’angoscia esistenziale, questo spleen che crea un conflitto emotivo interno così da non riuscire a esprimersi. Penso che comunicare sia molto ma molto complicato o, meglio, cercare di farlo. Spesso noto che si estirpano, si nascondono alcuni punti di fragilità, per poi cercare e riuscire a convincersi di non averne. Io cerco di comunicare proprio ciò che una parte di società non ha il coraggio di dire o addirittura scrivere. Il filo conduttore è sicuramente il dolore, ma non solo, c’è qualcosa di peggiore della sofferenza, credo che la mancata espressione di qualunque tipo sia una condanna atroce. Sono solo un messaggero, un ἄγγελος, un traduttore che trascrive le sensazioni e esperienze personali e cerca di fare lo stesso con quelle altrui.

In Altri Pianeti emergono anche elementi di critica sociale e tensioni tra spirito e società. Quanto è importante per te la dimensione collettiva della poesia?

Altri pianeti l’ho scritta durante un viaggio che ho fatto in est Europa. Un viaggio particolare, abbastanza cupo e stravagante. Tratto spesso i disturbi mentali nei miei lavori. Scrivo anche molto sulla religione. Accosto anche le due tematiche, forse sbagliando in parte, criticando anche ogni forma di fanatismo. – ma come un paziente di Dio, il malanno mentale lo affligge- questo verso ne è un esempio. Per rispondere alla domanda sulla importanza della dimensione collettiva della poesia, penso che si sia fondamentale. La poetica non è una grande, attualmente, forma di arte molto letta. Ed ha anche poca visibilità. Se antecedentemente il poeta era marginato, ora è praticamente inesistente o addirittura ridicolo.


La tua silloge affronta tematiche profonde e universali, tra cui il male e il dolore. C’è spazio anche per la rabbia? E se sì, come si manifesta nei tuoi versi?

Per quanto riguarda la tematica della rabbia, avrei molto da dire. La rabbia è forse l’elemento più presente nei miei lavori. Forse è lo scheletro delle mie poesie. Manifestare la rabbia e soprattutto assopirla è un lavoro molto difficile. Ho imparato tanto da essa, è stata ed è energia pura che ora inizio a saper canalizzare. La manifesto direzionandola verso un unico verso. A mio parere il cosiddetto sfogo non è altro che quell’atto in cui si pensa di far incenerire l’ira, creando però una energia talmente potente e disordinata da non poter essere indirizzata. La rabbia è un elemento fondamentale, non va repressa, non va licenziata dal proprio organico, bensì va lavorata, bisogna parlarci, calmarla, e azzarderei dire nutrirla. Rendere una emozione così “disordinata” in una invece accurata e più o meno precisa, può apparire come un processo semplice. È come domare, nel mio caso, un’onda gigantesca. Rendere innocuo per un istante un pensiero rabbioso, che può annebbiarmi, per poi trascriverlo e sguinzagliarlo lì, quando oramai è intrappolato su carta. La rabbia perciò va aiutata, così come l’ansia, accettata e renderla un motore creativo e non un ostacolo.

La tua scrittura sembra pensata anche per la dimensione orale, rendendola adatta a letture pubbliche. Quanto conta per te la performance nella poesia?

La mia poesia non va letta a mente, tanto meno a bassa voce. Assolutamente sì, è una poesia che potrebbe fare ancora più rumore, letta e soprattutto recitata. È fondamentale questo aspetto, ed è particolare il fatto che scrivo cose personali in silenzio ma funzionano meglio nel “chiasso”. Bisogna saper catturare l’attenzione del pubblico, con una voce adatta alla tipologia e al mood dell’opera. Recitare e dare alla folla emblema.

La melanconia dell’ultimo Dandy è una delle poesie più intense della raccolta. Ce ne parli?

La melanconia dell’ultimo Dandy è stato un lavoro molto sofferto. Ispirato al critico Pietro Citati, sono riuscito a esprimere la totale follia di una, come dicevano i latini, persona, quindi una maschera, che può appartenere a chiunque giochi con l’ego senza conoscerne i pericoli. Tratto di questo artista, poeta, scrittore che comunica solo attraverso deliri, sotto sostanze, alterato in un mondo dove egli è appunto l’ultimo sopravvissuto della sua specie. L’unico fiore rimasto in una società metallica. Piena di cemento, freddezza e violenza. Un fiore però che è intossicato. Un poeta melanconico, bugiardo, che nella sua pazzia possiede solo dipendenze, e striscia per arrivare allo spegnersi. Che fa di tutto per farsi odiare. Un dandy tremendamente arrabbiato e nuovo nel suo genere. Pieno di piercing. Amante della mutilazione fisica ed emotiva. Narcisista e manipolatore. Al di là di ciò che posso continuare a scrivere e descrivere e raccontare su questa opera, voglio lasciare un margine abbastanza ampio sulla interpretazione di questa.

Oggi la poesia è spesso vista come uno sfogo emotivo più che come un’arte che richiede tecnica e consapevolezza. Qual è il tuo punto di vista su questa tendenza?

oggi i ragazzi giovani hanno paura. Terrore assoluto di esprimersi. Molti giovani detestano il confronto reale. Pochi scrivono per essere letti. I pochi che lo fanno utilizzano la poesia come sfogo, di cui parlavo anche sul tema della rabbia. Comprendo la disperazione di alcuni ragazzi, la rabbia appunto, e altre circostanze complicate, per questo tento io di farlo per chi ha la bocca cucita, per chi non ha voce e grida, cerco di mettermi sulle spalle una delle tante realtà delle ultime generazioni, per forse essere portavoce di queste. Ho sempre detto che scrivo per le persone della notte. E non voglio minimamente criticare nessuno, se c’è chi preferisce scrivere solo per sé stesso, e attraverso questo sentirsi meglio, ben venga. Voglio espressione. Navigo in una barca a vela per questo preferisco tempesta piuttosto che bonaccia.

Quali sono i poeti o le correnti letterarie che più ti hanno influenzato?

Tra le mie influenze letterarie in primis troviamo F. Dostoevskij, così come un po' in generale la letteratura russa, Nekrasov. Sono appassionato dei poeti maledetti, amo la letteratura francese, ad esempio da Mallarmé a Baudelaire. Adoro i letterati dell’est Europa, Bulgakov, Gogol, filosofi come Cioran. Un’altra importante influenza è alcuni della beat generation come Burroughs. Anche Edgar Allan Poe. Questi sono alcuni, naturalmente cerco di essere sempre più aggiornato, cambiando generi.

(Per acquistare e leggere il suo libro, clicca QUI)


Commenti